WILLIAM STYRON
La scelta di Sophie (titolo originale: Sophie’s Choice, 1976)
Preparatevi a entrare in un mondo di dolore, accuratamente sepolto nella coscienza di chi ha vissuto le terribili violenze della deportazione e le inaccettabili privazioni di un campo di concentramento, perché il romanzo è molto di più di una tormentata storia d’amore tra Sophie, giovane polacca sopravvissuta ad Auschwitz e l’ebreo Nathan Landau.
I fatti sono narrati da un aspirante scrittore di nome Stingo che si trasferisce nel quartiere ebreo di Brooklyn, nella stessa pensione in cui alloggia la coppia.
«Seduti in quella luce fioca, Sophie ed io avevamo, penso, la sensazione che le nostre terminazioni nervose fossero state tirate fin quasi a spezzarsi dalla lenta accumulazione di troppe cose sostanzialmente insopportabili. Con un senso risoluto, definitivo, di rifiuto che era in me, una sorta di panico, non volevo più sentire nulla di Auschwitz, neanche una parola.»
E’ l’estate del 1947 e le storie dei tre protagonisti si intrecciano dando vita ad un rapporto profondo e complesso. La trama è sicuramente originale per un tema quale l’Olocausto di cui si è parlato moltissimo, ed è improntata sulla tecnica del flashback vera struttura portante della storia, attraverso cui veniamo a conoscenza degli orrori patiti da Sophie fino al terribile momento della scelta.
Le parentesi storiche sono molto dettagliate, Styron cita parecchi documenti e dati attendibili, opinioni di personaggi del calibro di Simone Weil e Hanna Arendt, mentre ci propone le strazianti descrizioni, cercando di dare una spiegazione, se esiste, all’orrore sistematico e razionale, così metodicamente attuato dai nazisti. Come è possibile assistervi e continuare a vivere e respirare? Riporto un dialogo significativo del romanzo che mi è rimasto impresso:
«Ad Auschwitz, dimmi, dov’era Dio?» si chiede Sophie.
«E dov’era l’uomo?» risponde Stingo.
Un romanzo scritto con grande profondità e maestria, in cui la linea che separa vittime e carnefici non è poi così netta come sarebbe comodo pensare. Bellissimo, talmente bello che l’ho letto due volte a distanza di trent’anni. Lo consiglio vivamente.
Un particolare degno d’interesse: Sophie adora ascoltare la musica classica e nel romanzo Styron dissemina tra le righe una vera colonna sonora di sottofondo, pezzi di musica classica del Settecento e dell’Ottocento, una chicca da intenditori.
Bella anche la riflessione dell’autore William Styron:
«Sono stato tormentato, devo ammetterlo, da un elemento di presunzione consistente nel sentirmi un intruso di fronte ad un’esperienza così bestiale così inspiegabile, che giustamente appartiene in modo esclusivo a quelli che l’hanno sofferta e ne sono morti o sono sopravvissuti. Un superstite Elie Wiesel scrisse a proposito dell’Olocausto: i romanzieri se ne sono serviti liberamente nelle loro opere … facendo questo l’hanno immiserito, svuotato della sua sostanza, L’Olocausto era diventato un argomento sensazionale, alla moda, sicuramente destinato ad attirare l’attenzione e a garantire successo immediato. Non so quale sia la fondatezza di queste affermazioni, ma mi rendo conto del rischio.»