NICCOLO’ AMMANITI
“Che la festa cominci” (2009)
Sarò sincera: dopo la prima pagina volevo abbandonare.
Il romanzo si apre con una cena in pizzeria in località Oriolo Romano e un tavolo con quattro occupanti, gli adepti di una patetica setta di satanisti falliti, le Belve di Abaddon. Dai dialoghi insensati si avverte subito che sarà una storia strampalata. Mi sono detta: «Fabiola, lascia perdere, per te la festa finisce qui». Invece ho continuato in maniera ostinata e contraria, arrivando fino alla fine.
Alla grande festa trash che il palazzinaro mafioso Sasà Chiatti organizza nella sua nuova residenza di Villa Ada sono invitati tutti i Vip e la Roma bene, chi entusiasta, chi riluttante, ma sono tutti presenti. Un festino che si trasformerà in un tripudio horror, un’agghiacciante lotta alla sopravvivenza che vedrà molti invitati schiattare nelle maniere più atroci.
Un romanzo alla ‘Pulp fiction’ con personaggi grotteschi e situazioni surreali al limite del macabro. Qualche descrizione mi ha ricordato i festini del film “La grande bellezza”. Irritante a mio parere la parte assegnata ai “ciccioni”, mostri mutanti discendenti degli atleti olimpici sovietici di Roma 1960 che non fecero mai ritorno in patria per fuggire all’oppressione del regime comunista (ma è una vicenda vera? Non ho trovato riferimenti in rete). Tuttavia lo stile è impeccabile, le metafore originali e il racconto riesce ad incuriosire. In fondo stiamo parlando di uno scrittore tradotto in 44 paesi.
Consigliato solo agli amanti del genere.