Gabriella La Rovere: Samuel, Murphy e io
Scatole Parlanti, 2023
“Samuel, Murphy e io” è un saggio sulla vita di Beckett. Se al suono di questo nome la vostra memoria (come è stato per la mia) vi rimanda all’arcivescovo ucciso a Canterbury nell’anno domini 1170, beh siete fuori strada e dovete (come me) leggere questo libro per colmare la lacuna.
Il Beckett di cui si parla è Samuel (1906-1989) il drammaturgo dublinese insignito nel 1969 del premio Nobel, e non Thomas (l’arcivescovo) che tra l’altro di cognome faceva Becket con una t sola. La sua opera teatrale più famosa è “Aspettando Godot” e adesso sì che nella memoria collettiva si accende una lampadina da 1000 watt.
L’io del titolo è Gabriella La Rovere, scrittrice, medico, giornalista, sceneggiatrice teatrale, da anni impegnata nello studio e nella divulgazione della neurodiversità, in particolare dell’autismo. Attraverso un accurato studio delle biografie e delle opere di Beckett, Gabriella La Rovere sostiene la tesi che Beckett possa essere considerato un soggetto autistico, nell’accezione moderna del termine.
È sua consuetudine spazzolare la letteratura classica alla ricerca di personaggi e di situazioni che possano far pensare al mondo autistico, secondo lei «Bartleby lo scrivano di Melville, è autistico. Lo straniero di Camus, è autistico. Camus no. Ma andando poi a vedere la storia del romanzo, come è nato, si scopre che Camus si è ispirato a un suo amico “un po’ strano”». È così’ che si è imbattuta in Murphy, e ne parla come di un testo di non facile approccio, per un doppio motivo: il protagonista del romanzo è autistico, lo scrittore stesso è autistico e la sua scrittura è “autistica”, utilizzando un sistema comunicativo assolutamente personale.
Nel saggio, con poche e sicure pennellate, l’autrice racconta la complessa vita di Samuel Beckett, un tipo solitario, sensibile e anche fragile, dotato di un’intelligenza fuori dal comune, un tipo così strano che non andò nemmeno a ritirare il premio Nobel, perché – dice lei – non gliene fregò più di tanto. Cominciò a soffrire di depressione e attacchi di panico a vent’anni, non ne uscì mai. Famoso per il teatro dell’assurdo, scrisse Murphy all’età di trent’anni, creando un personaggio che fonda la sua esistenza sul principio della minore attività possibile.
Sono tanti gli indizi che rivelano la neurodivergenza del personaggio, ad esempio: «Murphy mangia cinque biscotti, in un preciso ordine, tutti i giorni. E quando il cane glieli mangia, il mondo è tutto diverso, e non riesce quasi più a ritrovare sé stesso, si perde. Perché se uno è abituato nella routine a mangiare quei biscotti in quella maniera, perché gli dà la tranquillità, e viene disturbata la routine, lui non può terminare il ciclo».
Mi fermo qui, con la speranza di avervi incuriosito. Questo saggio è interessante, scritto facile e godibilissimo. Personalmente l’ho trovato illuminante per tre motivi: mi ha fatto conoscere lo scrittore e drammaturgo Samuel Beckett, mi ha fatto venir voglia di leggere Murphy e mi ha iniziato al mondo dell’autismo, mostrandomi il funzionamento di un soggetto neurodivergente, che riesce – in molti casi – a trasformare la sua molesta iperstimolazione in geniale creatività.
Alla prossima! Fabiola